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Abbattere il debito pubblico, il convegno della Koine'

Raffale Morese, con la sua Associazione Koinè, il 3 maggio scorso con il convegno “Abbattere il debito pubblico per ricostruire il futuro” ha sicuramente fatto l’ “en plein”, se guardiamo alle teste coronate (ovviamente in senso simbolico) che hanno partecipato all’evento. Dal relatore P. Carniti, a R. Paladini, G. Benvenuto, P. Modiano, J. Dotti, P. Bianchi, V. Visco, F. Marini, il Ministro Giarda, P.P. Baretta, P. Garonna ed altri con cui mi scuso per l’omissione.

 L’atmosfera di insieme? Non molto ottimistica e può essere espressa dalla citazione che Carniti ha fatto di un Augusto morente  “Acta est fabula” che tradotto significa “lo spettacolo è finito”.

Riattualizzando la citazione si può dire che lo spettacolo offerto dai molteplici vertici europei per dare risposte alla crisi in atto è finito e che ora si è di fronte ad un bivio: o rinforziamo le fondamenta dell’Unione Europea e l’edificio rischia di caderci sulla testa.

1) In questo scenario si colloca la questione del debito pubblico italiano e le condizioni del suo rifinanziamento. Far ricorso a manovre di finanza straordinaria a carico del paese o a nuove forme di “governance” europea che favoriscano la sostenibilità di tale debito con strumenti di finanza europea, a vantaggio anche degli altri paesi in analoga situazione?

Il relatore Carniti crede poco alla soluzione solidaristica, almeno nei tempi brevi, e ripropone la tesi, già esposta in precedenti interventi, di una imposta patrimoniale o di un prestito forzoso con cui abbattere almeno una parte del debito eccedente quel 60% ritenuto accettabile dalla Comunità Europea. 

A carico di chi? Di quanti detengono la maggiore ricchezza, dal momento che le fasce sociali più deboli hanno già dato e non sono più in grado di dare di più. Ma basta la pur condivisibile motivazione etica per rendere perseguibile un tale obiettivo? E poi a carico di quale ricchezza: quella immobiliare o mobiliare?

Nel primo caso il Prof. Palladino ha messo in evidenza come tale ricchezza sia spesso nascosta in società di comodo, come il rapporto tra rendita catastale e valore di mercato sia variabile nel tempo, come vada risolto il problema dell’unità impositiva, scegliendo la famiglia per evitare il frazionamento dei beni tra i singoli familiari.

La ricchezza mobiliare? Lo stesso Modiano, a suo tempo promotore di una proposta di una imposta straordinaria che tenesse conto anche di quanto già pagato in precedenza dal singolo contribuente per penalizzare soprattutto gli evasori, ritiene che l’operazione aveva un significato prima che l’emergenza finanziaria si evidenziasse per prevenire l’effetto fuga dei capitali che la liberalizzazione dei mercati finanziari ha oggi reso quanto mai facile, aggravando in tale caso i prevedibili effetti depressivi a carico dei paesi più fragili.

In sostanza, la motivazione etica di Carniti rimane valida ma il ricorso a manovre di finanza straordinaria rimarrebbe una possibilità legata a situazioni di emergenza che mettano in forse la solvibilità del nostro debito pubblico.

Ciò che invece dovrebbe costituire oggetto di manovre ordinarie è il riequilibrio di un sistema fiscale che, limitando la progressività ai soli redditi personali (IRPEF), crea aree di privilegio a favore di quanti nella composizione del reddito, godono di un maggiore apporto dai redditi da capitale e dalle rendite, alimentando così un processo che allarga le disuguaglianze sociali.

Ritornando al problema del debito pubblico, rimane forte il convincimento che la soluzione non può essere trovata a livello di singolo paese, tenendo anche conto che il mondo finanziario, ormai globalizzato, può essere domato nei suoi eccessi speculativi solo da interventi concordati a livello  internazionale. La sede ottimale per una soluzione sarebbe quella globale ma le difficoltà incontrate dal “Financial  Stability board” presieduto da Draghi, riportano il problema al livello europeo.

L’Europa ha le istituzioni (B.C.E., Fondo Salva Stati, BEI) e le risorse che, se liberate dai vincoli che ne limitano il raggio di azione, potrebbero proteggere dalla speculazione finanziaria i paesi più fragili e promuovere investimenti a sostegno di progetti comuni (projecs bonds).

Si tratta di verificare, nel prossimo futuro, se alcuni mutamenti intervenuti negli assetti politici di alcuni paesi (Francia per tutti) siano in grado di riequilibrare i costi/benefici dell’appartenenza ad una moneta unica. E’ la Germania e i suoi paesi satelliti che hanno tratto i maggiori benefici dall’introduzione dell’euro in base alla dottrina imposta che il rigore è una questione europea mentre la crescita rimane questione nazionale. La sfida in atto è se la prossima politica europea sarà in grado di sostenere uno sviluppo più equilibrato e nello stesso tempo più accelerato.

2) Nell’aritmetica della sostenibilità del debito pubblico entrano anche altre variabili che sono gli avanzi primari influenzati dagli interessi del debito e la crescita del PIL nei diversi paesi.

Rispetto al primo problema ha ragione Modiano nel segnalare il migliore posizionamento del nostro paese che anticipa al 2013 il riequilibrio delle proprie finanze pubbliche, recessione permettendo. Risultato che è stato realizzato dal Governo Monti attraverso maggiori imposizioni fiscali nell’ordine del 3% del PIL, dal 42,5% al 45,5%. Un tale livello di pressione fiscale non è tuttavia sostenibile nel tempo in quanto pone dei gravami sulle imprese e sulla capacità di spesa delle famiglie che compromettono la capacità di crescita del Paese. Rimane, quindi, nell’agenda politica il tema di una spesa pubblica eccessiva e mal strutturata che sottrae risorse agli investimenti produttivi ed alle nuove opportunità occupazionali.

Il Ministro Giarda nel suo intervento ha richiamato le difficoltà connesse ad un riorientamento del bilancio pubblico a finalità dello sviluppo, data la struttura di una spesa pubblica irrigidita dal costo del debito pubblico e dall’alto livello della spesa pensionistica. Lo “spending review” in atto, partito da obiettivi ambiziosi di recupero di 50-60 miliardi, ha progressivamente ridotto i suoi obiettivi, una volta escluso di mettere mano ai trasferimenti sociali. L’area rimasta è quella degli interventi  sui costi dell’Amministrazione centrale e delle aziende che producono servizi pubblici nel campo della sanità, dell’istruzione, della sicurezza e così via. Ma anche in questo campo sono di ostacolo i principi generali del diritto amministrativo che impongono uniformità di funzioni ai diversi enti distribuiti nel territorio più che uniformità di prestazioni e di risultati. Ciò determina squilibri ingiustificati nei costi di produzione dei servizi erogati.

Una ulteriore considerazione è che la dinamica della spesa pubblica sta alterando la mappa degli interventi pubblici sotto la spinta di fattori oggettivi, ad esempio demografici, per cui la spesa sanitaria e quella pensionistica tendono a crescere a fronte di investimenti decrescenti nell’istruzione, nella formazione professionale, nella lotta alla criminalità organizzata. Una evoluzione non programmata nella composizione della spesa pubblica che ne riduce l’orientamento a favore dello sviluppo.

3) Questione messa in chiaro da Patrizio Bianchi, con la sua puntuale analisi dei processi in corso di ristrutturazione della nostra industria che affida il suo sviluppo soprattutto ai settori fornitori di sistemi produttivi complessi (meccanica – metallurgia) per soddisfare la domanda crescente dei paesi emergenti e ai settori del “Made in Italy” ove la “qualità del prodotto” costituisce ancora un vantaggio competitivo. 

Il problema centrale della politica industriale, secondo Patrizio Bianchi,  è quello di aumentare la platea dei produttori creando nel contempo le condizioni perché nello spacchettamento territoriale in atto dei cicli produttivi, rimangano nel Paese i centri della responsabilità imprenditoriale e le fasi produttive a più alto valore aggiunto. Ma perché ciò avvenga occorre arricchire i territori delle necessarie infrastrutture della conoscenza e dell’innovazione. Considerazione che ci riporta al tema di ridisegnare la mappa dell’intervento pubblico perché meglio si raccordi con le esigenze del nostro sviluppo industriale.

Tema posto, sia pure da una angolazione diversa, da Dotti per il quale lo stato sociale non solo deve essere sottoposto ad una manutenzione di efficienza. Va ristrutturato andando oltre il tradizionale dualismo-pubblico privato, ridefinendo i confini tra statalizzazione e socializzazione dei servizi di pubblica utilità. Secondo Dotti, tra un’offerta di prestazioni pubbliche da riservare alle fasce più deboli della popolazione ed un’offerta privata ad alto costo riservata alle classi più agiate, c’è una terra di nessuno che può essere occupata da un “welfare associativo” in grado di fornire prestazioni sociali “low cost” a quel vasto ceto medio, non tanto povero da usufruire dei servizi forniti dallo Stato né tanto ricco da accedere ai servizi delle strutture private.

Una terra di nessuno in cui Dotti sta già intervenendo con la creazione di cooperative che offrono prestazioni nel campo dentistico, degli asili nido, dell’assistenza agli anziani, a condizioni particolarmodo favorevoli rispetto a quelle di mercato.

La prospettiva è quella di mobilitare il capitale privato in fondi di “venture capital sociale” in grado di finanziare progetti innovativi di carattere sociale, economicamente autosufficienti, una volta superata la fase di avvio e restituito l’investimento iniziale.

Un nuovo mercato del terziario sociale che potrebbe, tra l’altro, offrire opportunità di lavoro, a breve, ai giovani portatori di qualifiche professionali pregiate, oggi scoraggiati dalle regole restrittive dei vari ordini professionali, e ai cosiddetti “esodati” le cui conoscenze ed esperienze potrebbero essere utilizzate nella gestione delle imprese sociali.

Concludo il mio commento sul convegno della Koinè ritornando al tema centrale dell’abbattimento del debito pubblico. Tema complesso che si apre ad una molteplicità di soluzioni, non neutrali rispetto al posizionamento dei diversi interessi.

La conferma che viene dal convegno è che le chiavi della crisi sono soprattutto in Europa e nel ruolo che i Governi riusciranno a svolgere per coniugare stabilità e sviluppo, condizioni complementari per far progredire tutti i paesi nella moneta unica. L’euroscetticismo che sta crescendo  in Europa non è la soluzione ma parte del problema e sta a dimostrare l’intreccio esistente fra crisi economica e crisi delle istituzioni democratiche. La questione del debito pubblico è una manifestazione di tale squilibrio e in tale ambito va collocata.



[1] Koinè, Associazione presieduta da Raffaele Morese, che si occupa e si preoccupa del futuro del lavoro.

 

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