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di Fernando Cecchini

E’ la famosa frase pronunciata da Don Abbondio divenuta proverbiale. Il Manzoni ci racconta che il curato, mentre distrattamente legge accomodato sulla poltrona, rumina tra sé e sé: Carneade chi era costui? Non mi dilungherò su chi era Carneade ma a me è accaduto lo stesso mentre leggevo il “Rapporto Italia 2014 Eurispes”, e “ruminando” tra me e me: Mobbing chi era costui? 

Del fenomeno mobbing, come per anni l’ abbiamo definito, non se ne parla più o quantomeno come molti altri argomenti che hanno tenuto “banco” sulla stampa è scomparso, eppure nei primi anni del secolo era nominato “la peste del 2000” con caratteri cubitali ed in prima pagina.


Nel rapporto si evidenzia che, se tutti gli indicatori sottolineano prioritariamente il problema della disoccupazione in aumento, dando uno sguardo alle condizioni di chi invece il lavoro lo ha il quadro che emerge è tutt’ altro che incoraggiante. Il 75,6% dei lavoratori non si sente sicuro del proprio posto di lavoro, il 63,4% non può fare progetti per il futuro ed il 36,6% lascerebbe l’ Italia per cercare migliori opportunità; questa situazione di non assoluta tranquillità dovrebbe far molto riflettere chi di dovere; i politici i quali con un 6,5% non trovano speranza di accreditarsi presso l’opinione pubblica come referenti affidabili e i sindacati con un 19,2%. 

Ma il termine che ha acceso il “ruminare” nella mia memoria è stato mobbing; il rapporto mi dice che ben il 14,2% dei lavoratori nel 2014 è stato vittima di mobbing; considerando il totale degli occupati in Italia significa che alcuni milioni di lavoratori sono stati vittime di mobbing, veramente un lusso che in periodi di crisi economica non ci dovremmo permettere per i danni conseguenti a tali pratiche. 

Purtroppo da questo disdicevole modo di rapportarsi in ambiente di lavoro, uscito allo scoperto la fine del secolo scorso grazie al perdurare di situazioni di crisi legate a forme di esternalizzazione e conseguente rottamazione dei lavoratori, il nostro Paese non trova il modo di uscirne fuori. Aggiungo che la “Salute e Sicurezza in Ambiente di Lavoro” grazie al mobbing va a farsi benedire, così come quello stato di completo benessere fisico, mentale e sociale..... richiamato dal D.lgs81/08. 

Grazie alle testimonianze raccolte tramite lo “sportello di ascolto” vivo in prima persona il dramma del lavoro, il baratro dinanzi a cui vive il lavoratore nella certezza che persa quella occupazione non ne troverà altra, per cui è pronto a sopportare di tutto in cambio della garanzia di un minimo di salario, quale unico sostentamento, per la sopravvivenza per la propria famiglia spesso composta da figli studenti e/o disoccupati. Naturalmente il prezzo viene pagato con la propria salute in quanto il mobbing come noto non è una malattia, ma ne è la causa, tramite il perdurare di situazioni fortemente stressoggene origine di serie patologie psicofisiche spesso irreversibili. Per altro va aggiunto che dette patologie sono di evidente origine lavorativa, per cui malattie professionali, vengono riconosciute con molta difficoltà dall’INAIL e quando riconosciute ottengono bassissimi valori valutativi. 

E’ naturale dinanzi a dette situazioni chiedersi: ma come è possibile che dopo 20 anni dalla denuncia del fenomeno non si sia fatto nulla in questo Paese al fine di prevenirlo? Delle regole, una legge, qualsiasi cosa al fine di riportare il giusto equilibrio nell’ ambiente di lavoro come nel resto d’Europa dove il fenomeno è stato affrontato con delle leggi, ( Francia), o con stringenti regolamenti ( Germania, Belgio, Paesi Scandinavi). 

Purtroppo è così una legge/regola ad hoc che faccia chiarezza ai lavoratori, che sia un deterrente verso datori di lavoro disinvolti e sia luce e guida per i giudici non è emersa; eppure dalla prima proposta di legge, datata 1996, ad oggi decine di proposte sono state presentate da più parlamentari di diverse posizioni politiche ma senza nessuna voglia di condurle all’ approvazione, in questo agevolate da una parte datoriale tenacemente contraria a qualsiasi forma di regolamentazione sull’ argomento. Per poter affrontare la problematica esistente la giurisprudenza ha “dissotterrato” dal codice civile un vecchio attrezzo: l’ articolo 2087; - Tutela delle condizioni di lavoro "L'imprenditore è tenuto ad adottare nello esercizio dell'impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro l'esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”. Questo articolo risale alla primavera del 1942 ed è quanto di meglio abbiamo sull’argomento per proteggere l'integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro.

Ad onor del vero debbo aggiungere che alcune sentenze di Cassazione hanno cercato di supplire la mancanza della legge tanto auspicata, tra le più interessanti è la n.87 del 10 gennaio 2012, la quale chiarisce: - “il mobbing consiste in «una condotta del datore di lavoro sistematica e protratta nel tempo, tenuta nei confronti del dipendente sul luogo di lavoro, che si risolve in sistematici e reiterarti comportamenti ostili che finiscono per assumere forme di prevaricazione o di persecuzione psicologica, da cui può conseguire la mortificazione morale e l ́emarginazione del lavoratore, con effetto lesivo del suo equilibrio fisio-psichico e della sua personalità» 

Precisa poi: “ai fini della configurabilità della condotta lesiva sono rilevanti:
- la prova dell’elemento soggettivo, cioè dell’intento persecutorio.
- l’evento lesivo della salute o della personalità del dipendente;
- la molteplicità di comportamenti di carattere persecutorio, illeciti o anche leciti se considerati singolarmente, che siano stati posti in essere in modo sistematico e prolungato contro il dipendente con intento vessatorio; 

- il nesso tra la condotta del datore o del superiore gerarchico e il pregiudizio all’integrità psico- fisica del lavoratore.”.
Il susseguirsi di sentenze, spesso chiare solo per gli addetti ai lavori, non ha agevolato più di tanto il lavoratore nel capire come dimostrare di essere vittima di atteggiamenti persecutori e ad oggi siamo arrivati, come dicono i giuristi, alla richiesta della “prova diabolica”. Il lavoratore non solo dovrà dimostrare di essere vittima di vessazioni, e di essere anche “portatore” di patologie dovute a tali angherie, ma dovrà dimostrare la esplicita volontà del mobber nell’ intento persecutorio; cioè non sarà sufficiente dimostrare di essere vittima di ripetute e dimostrabili vessazioni, ma provare al giudice che da parte del mobber esisteva una precisa volontà persecutoria, praticamente leggergli nella mente, cosa che chiaramente è di difficilissima dimostrazione. 

Cassazione Civile Sentenza, Sez. Lav., 23/01/2015, n. 1258 - Mobbing: essenziale la componente psicologica dell'illiceità del fatto, la cui prova spetta al lavoratore. “Ai fini della configurabilità del mobbing lavorativo, devono ravvisarsi da parte del datore di lavoro comportamenti, anche protratti nel tempo, rivelatori, in modo inequivoco, di un'esplicita volontà di quest'ultimo di emarginazione del dipendente, occorrendo, pertanto dedurre e provare la ricorrenza di una pluralità di condotte, anche di diversa natura, tutte dirette (oggettivamente) all'espulsione dal contesto lavorativo, o comunque connotate da un alto tasso di vessatorietà e prevaricazione, nonché sorrette (soggettivamente) da un intento persecutorio e tra loro intrinsecamente collegate dall'unico fine intenzionale di isolare il dipendente.” 

Sul tema non va meglio per i dipendenti pubblici in quanto, abbastanza in linea con la precedente, il Consiglio di Stato con sentenza n.28/2015 chiarisce “al fine di provare il mobbing nel pubblico impiego – per esempio nel caso di demansionamento – non basta dimostrare la continuità delle condotte illegittime poste in essere nei confronti del dipendente e del danno psicofisico, ma occorre anche provare l’ esistenza di un disegno persecutorio e discriminatorio nei confronti del lavoratore. Rimane però margine per provare l’ ulteriore danno professionale o morale. In precedenza, con sentenza n.5419/2014, il medesimo Consiglio di Stato ha ritenuto che gli atti dell’ amministrazione si intendono mobbizzanti se posti in essere in funzione del solo intento persecutorio. In altre parole se il procedimento mobbizzante è stato destinato, almeno in parte, a qualche scopo pubblico non può esservi persecuzione ai danni del lavoratore. Per esempio se un pubblico dipendente venisse continuamente trasferito, in modo palesemente persecutorio, ma venendo comunque a coprire reali esigenze di organico questo non sarebbe riconosciuto come atteggiamento mobbizzante. 

Non meglio andiamo con le Leggi Regionali, regole destinate alla prevenzione emanate dalle regioni a seguito della Legge Costituzionale n.3 che attribuì alle medesime competenza legislativa anche per la tutela della Salute e Sicurezza sul lavoro. Tale funzione è stata poi confermata D.lgs. 81/08 all’art.13, comma 1, ripete testualmente: «La vigilanza sull’applicazione della legislazione in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro è svolta dalla azienda sanitaria locale competente per territorio...». Purtroppo ad oggi solo alcune regioni, (Abbruzzo, Umbria, Friuli Venezia Giulia, Veneto e Puglia), sensibili alle problematiche del mondo del lavoro hanno approvato tali regolamentazioni a tutela dei lavoratori. 

Tali leggi prevedono infatti iniziative d’informazione e formazione dei lavoratori, promuovono la realizzazione di “Punti di Ascolto” e “Centri Terapeutici” a supporto e sostegno, importante è l’esistenza di un “Osservatorio Regionale” che raccogliendo ed incrociando i dati ottenuti dai Punti di Ascolto e dai Centri Terapeutici possa mirare ad aziende che non rispettino quanto previsto dal D.lgs. 81/08, al fine di invitarle ad un più corretto comportamento e/o sanzionarle. Tutto ciò finalizzato alla prevenzione e al monitoraggio del disagio lavorativo, del mobbing, del rispetto dei diritti e della dignità della persona e la tutela della sua integrità psico-fisica; provvedendo inoltre al miglioramento delle relazioni sociali nell’ambiente di lavoro; sono perciò importanti punti di riferimento. E’ auspicabile che al più presto anche altre regioni, tra cui la regione Lazio, abbiano tali regolamentazioni in materia di prevenzione. 

Come ho già accennato il mobbing non è una malattia ma ne è la causa tramite il perdurare di situazioni di stress in ambiente lavorativo; ed anche in questo il “Rapporto Italia 2014 Eurispes” ci illumina indicando che il 74,3% dei lavoratori italiani è stressato, se fosse significativo unire le due percentuali dei mobbizzati e stressati saremmo vicino ad un 100% di lavoratori in sofferenza. Questo dato dovrebbe meravigliarci circa l’alta percentuale dello stress correlato al lavoro, o meglio dello Stress Lavoro-Correlato, in quanto siamo l’ unico Paese europeo che ha inserito in un D.lgs. l’accordo autonomo realizzato dalle parti sociali europee relativo alla prevenzione dello stress di origine lavorativa: "Framework agreement on work-related stress”. Tale accordo trova origine negli alti costi per il mondo del lavoro europeo dovuti a ripetute situazioni stressoggene portatrici di patologie, assenteismo ed incidenti sul lavoro. Firmato nel 2004 doveva essere attuato nel 2007, solo con il suo inserimento nel 2008 nel D.lgs. 81/08, voluto dal governo di allora, ha fatto si che tale accordo non fosse ignorato dalle parti datoriali le quali non avevano nessuna intenzione di attuarlo, infatti alcune organizzazioni datoriali tuttora non lo hanno firmato ma sono costrette a rispettarlo in quanto inserito in una legge. Purtroppo il tempo ha dimostrato che la “toppa è peggiore del buco” in quanto l’ accordo è un “gentlemen agreement” in altre parole “evitiamo alcuni atteggiamenti e favoriamo alcune agevolazioni in ambiente di lavoro in quanto criteri restrittivi non convengono ne ai lavoratori ne ai datori di lavoro”, concetto che certamente mal si adatta a divenire legge, la volontà di non attuarlo lo ha artificiosamente stravolto cercando di mitigarne gli effetti. Per verificare l’ esistenza di stress lavoro-correlato debbono essere seguite le indicazioni metodologiche della Commissione Consultiva Permanente del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, e possibilmente le linee guida dell’ INAIL. Tale indagine va effettuata non sui singoli ma su gruppi “omogenei di lavoratori”, il tutto con buona pace dello spirito dell’accordo in questione. Grazie a “bizantinismi” ci troviamo ad essere il Paese dove alla fine di un lungo e spesso costoso percorso, per cui un business per talune categorie, effettuato per lo più da enti pubblici si scopre che nell’ azienda in questione non esiste lo stress lavoro correlato. Nel caso di imprese di medie dimensioni con 1000 /2000 € ad un consulente esterno si “risolve” la valutazione  ai fini del Documento Valutazione dei Rischi; ma c’è di più per le micro aziende, che sono una moltitudine nel nostro Paese, la “Commissione” suggerisce che il datore di lavoro può scegliere di utilizzare modalità di valutazione tramite riunioni tra i 4 o 5 lavoratori presenti.

Quanto illustrato circa lo stress accade solo nel nostro Paese, l’ unico ad averlo posto in una legge, gli altri Paesi europei lo applicano e lo rispettano quale suggerimento delle parti sociali europee. Tale modo di procedere nella valutazione dello stress lavoro-correlato ha generato molti dubbi portando alla luce argomentazioni dal titolo “La truffa Stress Lavoro Correlato” dove si sostiene che stando alla definizione della “Agenzia europea per la sicurezza e la salute sul lavoro” Lo stress legato all’attività lavorativa si manifesta quando le richieste dell’ambiente di lavoro superano la capacità del lavoratore di affrontarle o controllarle., per cui interpretando lo stress come: “squilibrio tra la percezione che un lavoratore ha delle costrizioni impostegli dal suo ambiente e la percezione che esso ha delle risorse di cui dispone per fronteggiarle” ne segue che con tale definizione dello stress come derivante da una “valutazione cognitiva” del soggetto coinvolto si ha che, invece di ricercare l’origine dei rischi nelle scelte di progettazione e strutturazione della situazione di lavoro che possono attivare situazioni stressoggene, si implica che la “gestione del rischio”, e le conseguenze, sono in capo al soggetto stesso. In altre parole “se sei stressato è colpa tua”. Ecco perché nonostante siamo il Paese dove non esiste lo Stress Lavoro-Correlato abbiamo un 74% di lavoratori stressati. Che tale accordo doveva essere ignorato nel nostro Paese lo dimostra l’accordo gemello: “Framework agreement on Harassment and Violence at work”, ( molestie e violenze sul posto di lavoro), firmato dalla parti sociali europee nel 2007 e che doveva essere attuato nel 2010; ad oggi è completamente ignorato. 

A completamento di quanto illustrato circa lo stress una ricerca di Regus conferma che negli ultimi cinque anni la tensione in ufficio è cresciuta; tale indagine svolta in oltre 100 paesi e condotta su un campione di 22.000 manager e professionisti ci dice che in Italia si soffre più e individua quali, principali cause di stress sul lavoro: 

- instabilità del posto di lavoro:
- tecnologia obsoleta-inaffidabile:
- carenza di personale:
- poca flessibilità su orario e luogo: 15% contro 7% 

- viaggio andata e ritorno ufficio: - ore di lavoro:
- il capo:
- il luogo di lavoro: 

14% contro 10% 13% contro 7% 13% contro 8% 11% contro 7% 

8% contro 5% 

30% in Italia contro una media globale del 15% 30% contro 21%
27% contro 20% 

- i colleghi:
gli intervistati affermano che diminuirebbero grandemente lo stress sul lavoro se fossero attuate nel nostro Paese migliorie quali:
- lavorare tramite telelavoro: 61%
- lavorare part time con orari flessibili:61%
Il report Regus si conclude con "Mentre si registra un aumento dello stress sul posto di lavoro, dovuto principalmente all'incertezza del futuro e a una combinazione di fattori in cui incidono le difficoltà tecnologiche e il dover stare seduti alla scrivania per molto tempo, il mondo del lavoro concorda sul fatto che poter svolgere la propria attività in modo agile e flessibile possa rappresentare una soluzione per migliorare la qualità della vita, e accrescere significativamente la produttività dei lavoratori". 

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